A sud-est di Roma, in un’area spesso associata alla “terra dei fuochi” per le fonti di inquinamento presenti, sopravvive un ultimo scorcio di campagna romana, interessata da vincoli paesaggistici (corso di acque pubbliche) e archeologici. Un’area in parte compensazione dei diritti edificatori inerenti il comprensorio Tor Marancia.
Roma invasa dalle cubature veltroniane
Sin da quando era Sindaco Veltroni[1], il programma di trasformazione urbanistica “Fontana Candida” intende utilizzare tali aree, poste tra la via Casilina e via Ponte della Catena, a fini edificatori. Ma fortunatamente l’iter autorizzatorio per gli oltre 58mila metri cubi per 24 palazzine non si è perfezionato.
Adesso, però, la questione è finita al TAR, in quanto le società proponenti del programma di a fini edificatori contestano un parere della Sovrintendenza che impedirebbe la realizzazione del loro progetto. E pertanto i GRE sono intervenuti in giudizio a fianco dell’Associazione di quartiere Fontana Candida ed altri comitati allo scopo di far meglio comprendere al TAR il rilievo e la natura degli interessi in gioco.
Ma facciamo di nuovo un passo indietro. Nel 2005 esattamente. Viene adottato il Piano territoriale paesistico, l’autorità procedente è la Regione Lazio. La quale convoca la Conferenza dei servizi per acquisire i pareri delle Amministrazioni competenti al fine di sottoscrivere l’accordo di programma.
Il primo alt della Soprintendenza archeologica
14 agosto 2009. La Soprintendenza Archeologica esprime parere favorevole a condizioni vincolanti. Ovvero il completamento delle necessarie indagini archeologiche in merito ad un tracciato viario, una necropoli romana e un fontanile cisterna. Ed inoltre che lo splateamento avvenisse con assistenza archeologica in corrispondenza del sedime di tutte le opere di urbanizzazione.
Saltiamo al 2012, esattamente il 28 dicembre. Alla luce di nuovi elaborati progettuali presentati dalla società, la Soprintendenza Archeologica conferma il proprio parere favorevole ma sempre a condizioni vincolanti. Ovvero il completamento indagini archeologiche e lo splateamento con assistenza archeologica per il sedime di tutte le opere di urbanizzazione. Ma anche introducendo l’obbligo di procedere ad accertamenti archeologici mediante splateamento di tutti i lotti edificabili e mediante trincee nelle aree verdi. Si trattava quindi di un parere non definitivo, ma subordinato a specifiche condizioni.
2019, arriva il secondo stop
E giungiamo al 2019. La lunga fase della Conferenza dei servizi giunge a termine. E nel mese di dicembre la Regione Lazio chiede alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio chiarimenti sulla validità del parere archeologico rilasciato nel 2012.
La risposta arriva nel 2020, il 12 febbraio[2]. La Soprintendenza indica alla Regione una serie di vincoli paesaggistici presenti nell’area oggetto di intervento. E precisa che tali vincoli richiedevano il parere vincolante ed obbligatorio della allora Soprintendenza per i Beni paesaggistici e della Direzione Regionale del Lazio. La quale però non era stata invitata alla Conferenza dei servizi.
Correttamente, quindi, la Soprintendenza rileva che era mancata l’espressione sui vincoli paesaggistici. E comunque osserva, quanto agli aspetti archeologici, che il parere del 2012 non poteva considerarsi definitivo. Ciò in quanto non erano state effettuate le indagini archeologiche richieste nella fascia di rispetto del Fosso Valle della Morte.
Lo scontro tra Soprintendenza e Ministero dei beni culturali
Ma il Dipartimento PAU di Roma Capitale non ci sta a tali criticità, e risponde alle osservazioni contrarie. La Soprintendenza, dal canto suo, con una nota del 18 novembre 2020[3] ribadisce tutti i vincoli insistenti sull’area. I quali vincoli rimarcano la competenza della Soprintendenza al paesaggio in merito ai piani attuativi ad esprimere parere obbligatorio e vincolante.
Ma la Soprintendenza va oltre. E chiarisce che il parere del 2012 era relativo ad un progetto diverso. Il quale non interessava la fascia di rispetto del Fosso Valle della Morte. Ed inoltre dal momento che non erano state effettuate le indagini archeologiche su tale punto, il parere del 2012 non poteva comunque considerarsi definitivo.
La questione approda al TAR
Questa i fatti. Ovviamente indigesti ai proponenti. I quali si rivolgono al TAR censurando la nota del 12 febbraio 2020, espresso dalla Soprintendenza. Assumendo che sia affetto da nullità, o comunque illegittimo per difetto di istruttoria in quanto parere reso fuori Conferenza dei servizi.
Un ricorso infondato, a nostro avviso, perché il parere non è nullo. Non è stato espresso fuori della Conferenza dei servizi per un motivo ovvio: la Regione non ha mai invitato la Soprintendenza al paesaggio alla Conferenza. Come invece avrebbe dovuto fare. Si tratta invece di un parere in risposta a chiarimenti chiesti dalla Regione stessa su una materia di competenza esclusiva della Soprintendenza.
La normativa è chiara
Sul paesaggio e sui vincoli paesaggistici introdotti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio[4], infatti l’autorità preposta alla tutela è esclusivamente la Soprintendenza. E quindi non vi è alcun vizio di eccesso di potere nel parere espresso.
Ma questo era chiaro sin dal 2003. e non poteva essere altrimenti. Da una parte si tratta infatti di vincoli che riguardano la conformazione fisica del territorio in questione per l’idrografia[5] e per i boschi ripariali. Dall’altra si tratta della valenza paesaggistica dei beni archeologici e delle architetture del patrimonio rurale, ricadenti nei beni identitari tipizzati.
Tali fattispecie sono da sempre soggette al parere obbligatorio delle Soprintendenze per i beni architettonici e per il paesaggio.
Il parere ex adverso impugnato non è pertanto un provvedimento di annullamento in autotutela, ma semplicemente un obbligatorio parere paesaggistico.
[1] Comune di Roma – deliberazione del Consiglio comunale n. 91/03 – «Indirizzi al Sindaco ex art. 24 dello Statuto Comunale ai fini della sottoscrizione degli Accordi di Programma, ex art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000 concernente la compensazione edificatoria del comprensorio E1 Tor Marancia, attraverso la rilocalizzazione delle volumetrie nei Programmi di Trasformazione Urbanistica di “Prato Smeraldo” – “Magliana G.R.A.” – “Muratella” – “Massimina” – “Colle delle Gensole” – “Torrino Sud” – “Pontina” – “Aurelia km. 13” – “Prima Porta” – “Tenuta Rubbia” – “Grottaperfetta” – “Olgiata” – “Cinquina Bufalotta” – “Divino Amore” – “Fontana Candida”».
[2] MIBACT – Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Roma. Nota del 12 febbraio 2020
[3] MIBACT – Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Roma. Nota del 18 novembre 2020
[4] Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (G.U. n. 45 del 24 febbraio 2004, s.o. n. 28). Art. 146. Autorizzazione
(…)
4. L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. L’autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell’autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l’anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo. Il termine di efficacia dell’autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all’interessato.
5. Sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all’articolo 143, commi 4 e 5. Il parere del Soprintendente, all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero su richiesta della regione interessata, dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante ed è reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione.
(…)
[5] l’articolato corso del fosso di Tor Bella Monaca, confluente con i fossi di Torre Angela, Tor Tre Teste e Valle Lunga, nel bacino di Tor Sapienza
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