Alla luce degli enormi problemi riguardanti la fauna selvatica presente sul territorio nazionale e la sua conflittualità antropica via via sempre più crescente, riteniamo sia stata quanto mai opportuna l’istituzione, da parte del MASAF, del “Comitato tecnico faunistico venatorio nazionale”.
La conflittualità con gli animali selvatici è colpa di scelte del passato
In condizioni normali, gli animali selvatici non creerebbero alcun problema al territorio. Tuttavia, la pessima gestione ambientale del passato ha permesso l’introduzione di razze e specie non autoctone per favorire il ripopolamento anche a scopo di caccia.
Esattamente come avvenuto per i cinghiali, che oggi costituiscono una grave minaccia per tutta l’attività agro – silvo – pastorale ma anche per la stessa biodiversità. Altro problema analogo, seppur più circoscritto, è quello del sovrannumero di daini che minaccia la Foresta planiziaria del Circeo e la sua biodiversità.
Nelle prime due sedute del Comitato, abbiamo evidenziato dei punti fondamentali per affrontare le problematiche sulla fauna nel momento attuale. Partendo da un caposaldo per noi determinante: il pieno rispetto degli animali e della Natura nel suo complesso e nella sua complessità. Perché, come sancito nella Laudate Deum, “cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale significa isolare cose che nella realtà sono connesse“.
La caccia non è una soluzione definitiva
La caccia indiscriminata viene ormai riconosciuta da tutti come uno strumento totalmente inefficace ai fini del contenimento della esorbitante popolazione di cinghiali. In alcuni casi finanche controproducente e comunque deontologicamente inaccettabile. E’ sbagliato affrontare il problema del contenimento di una specie destrutturando la popolazione della stessa. L’uccisione dei capi più grandi, quelli più ambiti come “trofei”, induce una maggiore proliferazione. Infatti, sentendosi braccata, la specie fa leva sul suo istinto naturale per salvarsi, stimolando l’ovulazione nelle femmine che partoriscono finanche due volte all’anno.
Al fianco delle azioni di prelievo venatorio, il contenimento demografico delle popolazioni di cinghiale deve fondare su approcci totalmente diversi. E’ il caso, ad esempio, di quanto già sperimentato da parte del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università Federico II di Napoli in Irpinia: attraverso la cattura di giovani cinghiali e la destinazione degli stessi alla filiera corta per la valorizzazione economica, i dati presentati ufficialmente alla Regione Campania evidenziano un indiscusso successo.
Seguire sempre le indicazioni scientifiche dell’ISPRA
Come GRE auspichiamo, e vigileremo che così avvenga in futuro, che la gestione della fauna selvatica venga sempre affrontata con cautela e seguendo le rigide indicazioni scientifiche dell’ISPRA, delle Università e dei centri di ricerca istituzionali.
Giammai appoggeremo, viceversa, azioni che già in passato hanno dimostrato di ottenere effetti negativi sugli agro – sistemi. Come le introduzioni di specie che hanno provocato disastri ecosistemici e conflitti tra animali e attività antropiche.
Ad esempio, è stato totalmente errato non comprendere che il contenimento dei lupi attraverso l’uccisione di una femmina alfa, rischia di avere come effetto che il maschio alfa ingravidi tutte le altre femmine del branco. In questo modo destrutturando la famiglia e ottenendo l’effetto demografico esattamente opposto a quello desiderato.
Dovendo, inoltre, elaborare un piano di gestione generale della fauna selvatica, abbiamo proposto la prioritaria ricognizione dei piani di gestione faunistico – venatori di tutti gli Istituti faunistici previsti dall’articolo 10 della Legge 157/92. I quali in molti molti casi sono del tutto inesistenti. Nonché la necessità di procedere ad un piano di eradicazione delle specie aliene, causa di danni enormi alla biodiversità e ad habitat naturali ritenuti meritevoli di protezione a livello continentale.
La proposta Bruzzone di modifica della 157/92 va rigettata
Siamo invece nettamente contrari alla proposta 1548 (cosiddetta Bruzzone). Tale iniziativa stravolgerebbe totalmente il principio di tutela della biodiversità posto alla base della 157/92, in particolare modificandone l’articolo 2 (in materia di fauna ancestrale) e l’articolo 18 (in materia di calendario venatorio e validità delle abilitazioni).
La legge 157/92 è ancor’oggi un’ottima norma a tutela della fauna selvatica. Magari da attualizzare in taluni aspetti e ponendo il altra norma la disciplina della caccia, come espresso in modo pienamente condivisibile anche dall’Unione Zoologica Italiana.
Un nuovo paradigma di vigilanza
L’articolo 27, inoltre, individua ancora nel (purtroppo) soppresso Corpo Forestale dello Stato il soggetto centrale della vigilanza venatoria. La nostra proposta è revisionare tale disposto. Prevedendo il coinvolgimento retribuito nelle funzioni di vigilanza venatoria di giovani in possesso di un’adeguata e specifica formazione universitaria in materia faunistica. Coinvolgendo anche le Associazioni Venatorie, Agricole e di Protezione Ambientale riconosciute ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 349 del 1986.
Inoltre, andrebbe coordinato il rapporto tra il disposto della Legge 6 dicembre 1991, n.394 (Legge quadro sulle aree protette) e il D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). Nonché ben chiarite le competenze tra le istituzioni che hanno competenza, a diverso titolo, in materia di fauna selvatica.
Sono fondamentali censimento e monitoraggio
Come abbiamo evidenziato, il numero degli operatori per la raccolta dei dati di censimento e monitoraggio per singola specie omeoterma è notevolmente insufficiente per poter operare attività concrete di gestione venatoria. In questo caso, sarebbe opportuno che provvedessero le Regioni, direttamente o affidando la raccolta dati ad operatori specializzati sotto il coordinamento degli osservatori faunistici regionali.
Allo stato attuale, infine, tutti i dati c.d. oggettivi riportati dalle Regioni nei singoli calendari venatori non sono supportati da pubblicazioni scientifiche aggiornate e, laddove esistenti, dai piani pluriennali di monitoraggio. Il riferimento ai key-Concept non può essere considerato inattaccabile laddove i dati scientifici cui questi fa riferimento per l’Italia sono datati e, molto spesso, non più rispondenti alla realtà.
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