Rischio idrogeologico: la mancanza di attenzione per l’ambiente si paga cara

I recenti disastrosi eventi alluvionali, compresi i soliti sterili strascichi polemici tuttora in corso, ripropongono il grave problema della gestione del territorio in cui viviamo. Problematiche che, come Gruppi Ricerca Ecologica, abbiamo già affrontato lo scorso anno in occasione di analoghi catastrofici accadimenti, persino negli stessi luoghi.

Un problema che denunciamo da anni

Da sempre rappresentiamo la gravità del dissesto idrogeologico che affligge il nostro Paese, interessando il 93,9% dei comuni italiani con almeno un’area a rischio. Ma anche la quantità enorme di risorse spese per la realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico.

Oltre le determinanti concause a monte, nei bacini montani e lungo i corsi d’acqua. Citando un vecchio aforisma forestale, “la pianura si difende in montagna”, riferito a boschi e opere di regimazione delle acque.

Le foto del tappo di detriti

Le foto circolate in rete e sui media dopo il disastro sono emblematiche. Un enorme ostruzione di tronchi e ramaglie in corrispondenza degli attraversamenti al punto da formare un vero e proprio “tappo”. Questo ha impedito il regolare deflusso idrico.

Ed è stato evidente una determinante concausa dell’esondazione del fiume Lamone, ma anche testimoniato il cattivo stato di gestione del bacino forestale a monte.

Di chi sono le competenze in materia forestale?

Va ribadito che la competenza in materia forestale è da anni transitata alle amministrazioni regionali.

E con essa tutte quelle importanti pratiche di Polizia amministrativa. Quali le prescrizioni di massima di polizia forestale, il controllo sui tagli e sullo sgombro del materiale di risulta, pratica che, se non effettuata, provoca l’intasamento degli impluvi con la ramaglia rimasta al suolo.

Quello che appare come l’aspetto peggiore di tutti, relativamente alla gestione dei bacini idrografici, è che la regia degli interventi in essi effettuati, nonché la sorveglianza e manutenzione, un tempo unica ed affidata al Corpo Forestale, oggi risulta frammentata.

In pratica, non si sa chi debba fare e cosa.

Come tutte le attività di prevenzione, la manutenzione delle opere, sebbene abbia poca visibilità politica, riveste un’importanza fondamentale.

L’attuale, continua, carenza della necessaria manutenzione ordinaria delle costosissime opere idrauliche principali. Ma anche della rete dei canali e degli argini, rappresentano indubbiamente la principale causa che rende drammatiche situazioni oggettivamente critiche.

Cosa si sia attuato dopo gli stessi eventi catastrofici dello scorso anno non è dato saperlo.

Le carenze collegate alle vasche di laminazione

Altro punto critico da noi messo in evidenza l’anno scorso e rimasto, purtroppo, totalmente ignorato. Le carenze collegate alle vasche di laminazione. Ovvero le aree in adiacenza ai corsi d’acqua create per contenere i volumi dell’onda di piena, limitando il deflusso delle portate a valle.

Come testimonia quanto riportato sul quotidiano “La Verità” del 25 settembre 2024 che riporta una dichiarazione di Luca della Godenza, sindaco di Castel Bolognese (Ravenna), rilasciata dopo l’onda di piena: “la Regione e l’ARPAE (Agenzia Regionale per la Prevenzione Ambientale ed Energia) hanno ignorato le nostre richieste”.

Riferendosi alla vasca di laminazione di Cuffiano, sul Senio, da trent’anni allo stato di cantiere. Pensata per contenere quattro milioni di metri cubi d’acqua nel cuore del problema idrografico (ai confini tra Faenza, Riolo Terme e Castel Bolognese), l’enorme vasca è il simbolo dell’immobilismo amministrativo regionale)”.

Poi, ancora, nell’intervista al Resto del Carlino: “Da quando sono sindaco ho inviato almeno tre raccomandate alla Regione per sollecitare i lavori. Risultato: nessuna risposta”.

La cementificazione delle aree golenali

Resta valido quanto affermato dai GRE sulle conseguenze della eccessiva periurbanizzazione e sulla cementificazione delle aree golenali, cancellando ettari di bosco ripariali.

Le aree golenali dei fiumi vanno mantenute con la propria vegetazione. La quale riveste una grande importanza sia per la regimazione delle acque che per la stabilità delle sponde. Con le loro radici sostengono gli argini e rallentano la corsa delle acque.

E forse è il momento di ripensare anche alla disposizione della legge 37/1994. La quale prevede l’estensione del demanio idrico in base alle previsioni di piene ordinarie. E non rispetto a fenomeni eccezionali, nonché di come vadano tenute queste aree e di cosa si possa o meno fare in quelle contigue.

Manutenzione insufficiente

Ma già allora abbiamo sottolineato la gravità dell’accusa di non aver speso 55,2 milioni per interventi infrastrutturali su un finanziamento di 71,9 milioni di euro ricevuti dallo Stato per la manutenzione dei corsi d’acqua. Come affermerebbe la sezione regionale emiliana della Corte dei Conti nei rapporti 2021-2022.

La mancanza di manutenzione delle opere idrauliche rappresenta una grave negligenza delle Regioni ad essa deputate (e non solo, come in questo caso, dell’Emilia – Romagna). Essa incide fortemente sulla necessaria prevenzione del rischio, aumentato in modo esponenziale dal cambiamento climatico e dai conseguenti, sempre più frequenti, eventi metereologici “estremi”.

Che, per questa ragione, andrebbero catalogati non più come “eccezionali”. Ma dovrebbero costituire un (triste) aggiornamento delle serie storiche dei dati idrologici posti a base del corretto dimensionamento idraulico delle opere.

La regolare e costante manutenzione delle opere è un preciso obbligo da parte degli enti preposti. Ma rappresenta anche un dovere morale nei confronti della collettività. Per rispetto degli ingenti investimenti pubblici per la loro realizzazione. E costituisce inoltre un concreto presidio del territorio, comportando una occupazione stabile e una consolidata esperienza e conoscenza dell’ambiente.

Si preferiscono invece, da parte degli enti preposti alla salvaguardia e alla bonifica dei territori con la complicità delle regioni e di alcune associazioni, nuovi interventi a carico dello Stato (con relative spese generali).

Perché generano incarichi, appalti, consulenze, inaugurazioni, ecc. In parole semplici: “consenso” di cui la politica ha purtroppo bisogno.

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