Il “cestino del pane del mondo” è vuoto.
La guerra in Ucraina ha distrutto le infrastrutture logistiche del Paese ed ha distolto i contadini dai campi. Mentre giustamente tutti cercano di sopravvivere combattendo o mettendosi in salvo.
Il mondo, atterrito per il dramma umanitario, prende anche coscienza che dipende per buona parte dai vasti e fertili terreni agricoli della regione del Mar Nero. Che in primis forniscono a prezzi accessibili mais (l’Ucraina produce il 16% del mais mondiale e ne fornisce all’UE poco meno del 60%), olio di girasole (utilizzato nella lavorazione degli alimenti e per cucinare, ma che ormai scarseggia dappertutto visto che Ucraina e Russia insieme valgono oltre il 75% delle esportazioni globali[1]) e grano (sia per produrre farine che mangimi animali).
E la Russia, nonostante le sanzioni successive all’annessione della Crimea nel 2014, fino a qualche settimana fa era ancora il sesto partner commerciale agroalimentare dell’Europa in termini di valore. Oltre grano, mais e oli, forniva fertilizzanti e altri nutrienti, di cui le piante hanno bisogno per crescere e senza l’apporto dei quali le rese colturali si riducono del 50% entro il raccolto successivo. Per questo le sanzioni imposte al Cremlino saranno un’altra mannaia.
I PREZZI ALIMENTARI GLOBALI SONO IN AUMENTO
Il prezzo del grano è schizzato a +55% mentre i futures sono alle stelle (+40% quelli sul grano, fino a +16% quelli sul mais). E non si escludono possibili carenze a breve qualora la guerra si prolungasse. Anche per l’imminente sciopero dei trasportatori strozzati dal caro – carburanti.
Ma a pezzi è soprattutto la zootecnia. Il caro – mangimi sicuramente renderà più costose carni e prodotti lattiero-caseari. Oltre all’impennata vertiginosa dei prezzi delle materie prime, la guerra avrà un forte impatto anche sul commercio di prodotti animali, dato che esiste un forte scambio bilaterale tra l’UE ed entrambi i paesi sia di carni suine che avicole.
L’Unione Europea, nata anche per garantire la sicurezza alimentare ai propri abitanti dopo la II guerra mondiale, è giustamente preoccupata.
LA CRISI IN UCRAINA AVRÀ UN IMPATTO CATASTROFICO SULLA FAME NEL MONDO
Ma ancor di più quei paesi dove, nella dieta di milioni di poveri, il peso del pane sovvenzionato dal governo è rilevante. Come l’Egitto, che è il più grande importatore di grano del mondo. O il Libano, soprattutto dopo la catastrofica esplosione al porto di Beirut che nel 2020 ha distrutto i principali silos del paese. O lo Yemen, tra i Paesi più poveri del mondo, con condizioni di sottosviluppo diffuso.
Nell’Africa subsahariana, invece, nel 2020 sono stati importati prodotti agricoli per un valore di 4 miliardi di dollari dalla Russia. Circa il 90% era grano. Etiopia, Nigeria, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e i paesi del Sahel centrale si trovano già ad affrontare livelli allarmanti di insicurezza alimentare. Mentre in Paesi come Burkina Faso, Mali e Niger la situazione si prospetta catastrofica.
Gli effetti potrebbero sentirsi finanche nel sudest asiatico. In Indonesia, ad esempio, il grano ucraino è il 26% del totale consumato. Viene utilizzato per preparare noodles, pane, cibi fritti e snack.
IL NUMERO DI PERSONE A RISCHIO MALNUTRIZIONE CONTINUA A CRESCERE
Dopo la pandemia, il conflitto ucraino sta contribuendo a una drammatica escalation dell’insicurezza alimentare. Si stima che, in 80 Paesi, 283 milioni di persone potrebbero già essere gravemente ad alto rischio malnutrizione.
Secondo le Nazioni Unite, le sanzioni sugli appalti e sulle transazioni con la Russia avranno un effetto a catena sulle operazioni umanitarie in Africa occidentale e centrale. E potrebbero essere interrotte anche le operazioni che transitano attraverso il territorio russo. Ma nelle zone più povere la minaccia alla sicurezza alimentare è reale.
In Europa la crisi in Ucraina comporterà l’affaticamento delle catene di approvvigionamento e prezzi sempre più elevati. Il settore agricolo del Vecchio continente presenta diversi “anelli deboli”, inclusa la sua dipendenza dall’importazione di gas e fertilizzanti. Criticità rilevate dalla stessa Commissione. Ciò sebbene il settore sia estremamente resiliente e potente. Come già dimostrato durante la pandemia.
GIOCANO SULLE “NOSTRE PAURE PIÙ FONDAMENTALI”?
Stati Uniti, India e Canada sono pronte a far fronte alla mancanza di materie prime. Giocando su paure fondamentali come la mancanza di cibo, forti sono le pressioni sui governi per adottare misure che avrebbero come danno collaterale la compromissione della sostenibilità. Come, ad esempio, deroghe ai divieti in materia di OGM o residuo.
Ma il principale attacco dei lobbisti, che rappresentano l’1% che davvero guadagna dalla PAC, è rivolto a proteggere lo status quo dalla futura “agricoltura verde”. Con il sistema attuale, infatti, l’1,5% degli agricoltori riceve il 32% dei pagamenti diretti.
Farm to Fork e la Strategia per la biodiversità sono gli strumenti della Commissione Europea per la transizione verso un sistema alimentare sostenibile. In linea con gli obiettivi del Green Deal, queste politiche rivedranno il modo in cui i 27 Stati membri coltivano e producono cibo. Riducendo del 50% l’uso di pesticidi e del 20% l’uso di fertilizzanti, nonché convertendo al biologico il 25% dei suoi terreni agricoli.
L’UE PREVEDE SOFFERENZA PER AGRICOLTORI E CONSUMATORI
In base a tutti gli scenari, maggiore sostenibilità significherà riduzione della produzione fino al 4% e probabilmente anche un aumento dei prezzi. La produzione alimentare andrà pertanto inevitabilmente incrementata nei prossimi anni, ancor più dopo la situazione ucraina.
Farm to Fork non deve essere smantellato, come cinicamente richiesto, ma integrato con le nuove esigenze.
Perché a portare l’agricoltura al “punto di crisi” sono pur sempre il cambiamento climatico e il sovrasfruttamento del territorio. Che genera erosione del suolo, maggiore sensibilità alla siccità e ai parassiti, e più frequenti fallimento dei raccolti. E questo impatta sulla stabilità economica degli agricoltori.
La Commissione Europea stima che ci sono circa due milioni di ettari di terreni agricoli inutilizzati che invece potrebbero essere coltivati. Le principali organizzazioni di produttori[2] hanno chiesto proprio di poter coltivare tutta la terra disponibile nel 2022 per compensare il blocco della produzione russa e ucraina.
LA GUERRA È PIÙ UNA MINACCIA ALLA SICUREZZA ALIMENTARE CHE ALIMENTARE?
Questo può avere senso nell’immediato. Ma è assurdo che attualmente il 70% dei terreni agricoli venga utilizzato per mangimi e combustibili. È il risultato da un lato del sostegno comunitario del consumo eccessivo di prodotti animali, dall’altro del perverso finanziamento dei cosiddetti biocarburanti.
Visto l’approssimarsi della stagione della semina primaverile, urgono decisioni rapide e un piano dettagliato per affrontare la situazione. Tutto il possibile deve essere fatto ora – e in seguito – per preservare le risorse e la sicurezza alimentare.
Gruppi Ricerca Ecologica
[1] Fonte IHS Markit
[2] https://www.copa-cogeca.eu/
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